
“Qui siamo a New York: se ce la fai qui, ce la puoi fare ovunque.”
Con un ritardo appena accennato, sono qui a scrivere di quello che più che un viaggio è stato un sogno divenuto realtà.
New York per me è sempre stata LA città, quella che vedi nei film, quella che sogni quando sei schiacciato dalla quotidianità, dalle facce tutte uguali, dai riti, dai ritmi serrati, dalle città che ti senti addosso e magari meno dentro.
Così ad aprile finalmente abbiamo chiuso la valigia e siamo atterrati in quel posto in cui davvero pensi che tutto sia possibile.
Abbiamo prenotato a settembre per volare ad aprile, con Emirates. Una delle migliori compagnie con cui ho viaggiato, soprattutto per il numero di bagagli che ti fa imbarcare compresi nel biglietto: due in stiva, due a mano, a testa. Un sogno, soprattutto se si va nella città dei negozi aperti h24.
Dopo 6 ore di volo che all’andata soprattutto non senti per nulla perché l’adrenalina in corpo è tanta e anche perché sistematicamente ti capiterà il vicino di posto disagiato che urlerà – nello specifico il nostro ha risposto al telefono all’altezza della Groenlandia (?), pregando l’interlocutore di chiamarlo più tardi perché in quel momento non sarebbe riuscito a dedicargli la giusta attenzione, – finalmente si atterra nel paese dei balocchi.
Purtroppo appena atterrati ad attendervi non ci sarà niente di troppo figo perché come minimo ci saranno un paio d’ore di attesa per i controlli dell’Esta e il fuso orario comincerà a farsi sentire.
Gli americani però sono molto pragmatici, quindi appena finita la parte burocratica, si sale negli iconici taxi gialli e si arriva nella grande mela. Quando dal taxi ho cominciato a vedere una luce mai vista prima – sono forse morta? no, più che altro mai stata così viva – mi stava quasi venendo da piangere. Mi sono sentita dentro ad un film di cui però ero io quella che doveva scrivere il finale. E cominci a sentirti padrone del mondo, anche se con venti minuti di sonno alle spalle.
La sensazione che ricordo come se fosse ieri è quella di arrivare in un posto che hai già visto, che ti fa sentire a casa anche se non ci sei mai stato. È un po’ come quando arriva un deja-vù, quando ti senti nel posto giusto al momento giusto, la cosa più simile alla serenità, forse.
New York è davvero la città che non dorme mai, è grossa, è esagerata, ti fa sentire gigantesco anche se immerso in un contesto in cui senti una formichina; per vedere il cielo davvero, devi rifugiarti in Central Park, altrimenti quello che otterrai è solo la prospettiva dei tetti dei grattacieli; l’alternativa è salirci, sui grattacieli.
New York è una città piena di caos, di contraddizioni, di lusso e homeless, di fast food e reazioni rallentate per la troppa grandezza degli spazi, ma è unica. E ti manca subito, anche quando sei lì: sai che appena te ne andrai, vorrai tornarci, perché te la senti addosso e perché la senti, anche se da turista, un po’ tua.
“A New York mi sento a casa perché qui non c’è invidia ma competizione, tutti vogliono fare meglio degli altri, sempre, non pensano a demolire il prossimo ma a superarlo, ecco perché quando si va a dormire c’è la sensazione di perdere tempo.”
È proprio vero che alla fine l’hai già vista, la conosci già: Times Square è esattamente come te la immagini, anche se non ti puoi immaginare la felicità che ti darà vedertela esplodere di fronte appena girato l’angolo; Starbucks è ovunque ed è un porto sicuro quando vorrai qualcosa di più conosciuto; è vero che il Mc Donald’s è il peggiore dei fast food, il migliore è probabilmente Shake Shak, non deve assolutamente mancare un panino preso lì, servito da un ragazzo con il cappellino e la t-shirt magari un po’ unta che ti chiede se vuoi la diet coke o la coca grande, come da prassi.
Il primo giorno, un po’ tramortiti dal fuso orario – io soprattutto, l’ho patito tantissimo – abbiamo fatto più di 20.000 passi. Gli altri giorni non meno di 30.000. Perché chi dice che l’esperienza insegna, mente. A volte ti spinge solo a superarti. La scelta di non prendere spesso la metro – per la verità l’abbiamo presa solo due volte – è stata la migliore che potessimo fare. Qualsiasi via, qualsiasi incrocio, è degno di essere visto.
Il cibo ti manda in estasi i primi giorni – perché diciamocelo, quando capiterà più di potersi permettere il lusso di mangiare hamburger e patatine tutti i giorni come se fosse la cosa più normale del mondo? – ma il carboidrato mediterraneo mancherà come l’aria dopo qualche giorno. Grazie a dio c’è Eataly.
Times Square, la 5th, Central Park, il Museo di Scienze Naturali, il Moma, Soho, il ponte di Brooklyn, Coney Island, la New York Public Library, l’Empire State Bulding, Bryant Park, Wall Street, Ground Zero, Rockfeller Center, Grand Central Terminal, Zara, Other Stories… forse sono andata fuori tema, ma queste sono solo alcune delle cose che dovrete vedere senza nemmeno pensarci un secondo.
Shake Shak, il carretto dei gelati che ti seguirà ovunque andrai, qualsiasi steak house – la carne la sanno fare, cazzo se la sanno fare – la cheesecake di Junior’s, la pizza da un dollaro di 2bro’s, i dolci meglio in televisione che dal vivo di “The Cake Boss” ma comunque da provare anche solo per vedere se si riesce a sopravvivere a tutte quelle kcal, gli hot dog da 1 dollaro da quello che è il porcaro americano, i cioccolatini con il burro d’arachidi di Hershey’s sono solo alcuni dei posti in cui si deve per forza andare a mangiare senza nemmeno pensarci un secondo.
“New York non è ospitale. È molto grande e non ha cuore. Non è incantevole, Non è amichevole. È frenetica, rumorosa e caotica, un luogo difficile, avido, incerto. New York non fa nulla per chi come noi è incline ad amarla tranne far entrare dentro il nostro cuore una nostalgia di casa che ci sconcerta quando ci allontaniamo e ci domandiamo perché siamo inquieti. A casa o fuori, abbiamo nostalgia di New York non perché New York sia migliore o al contrario peggiore, ma perché la città ci possiede e non sappiamo perché.”