
Qualche giorno fa ho avuto una discussione con un mio amico.
Potrebbe sembrare l’intro del monologo di Radiofreccia, ma non è così.
Non tutto per lo meno.
Qualche giorno fa ho avuto una discussione con un mio amico.
Lui è uno di quelli bravi a creare, a pensare sempre fuori dagli schemi, un po’ perché gli schemi non li vede proprio e un po’ perché ha bisogno di spingersi sempre oltre le regole dell’uso comune. È una di quelle persone che sta bene nel vedere star bene quelli attorno a lui, ma per essere davvero completo ha bisogno dell’approvazione di chi stima, ha bisogno di sentirsi sostenuto nelle scelte e ha bisogno di una pacca sulla spalla per essere più sicuro nel fare dei passi avanti. Per non sentirsi la terra sotto i piedi mancare e quella fastidiosa sensazione di vuoto.
Non la definirei propriamente insicurezza, anche se so che la diagnosi è quella, ma più un bisogno mai soddisfatto a pieno. Uno di quei bisogni che ti fa diventare ossessivo nella ricerca, con una continua voglia di avere sempre di più. Più conferme, più pacche sulle spalle, più approvazioni. Più.
Ho visto questo mio amico sbriciolarsi letteralmente di fronte ad un rifiuto da parte di una persona a lui molto cara in termini di approvazione.
E ho pensato.
Ho pensato a quanto tempo perdiamo – letteralmente – dietro la ricerca di approvazione, da parte di sconosciuti o di persone che idealizziamo come “giuste”, per cui entrare a far parte della loro cerchia diventa quasi fondamentale.
Ho pensato che è davvero un peccato che le persone buone, spesso molto autocritiche e con una bella anima, diano tutto questo potere al di fuori di loro per cui il loro valore deve passare necessariamente dagli occhi degli altri. Perché non si rendono conto di quanto siano belli i loro, di occhi.
Ho pensato che a volte basterebbe qualcuno che ti dicesse “vai bene così”, soprattutto quando non stai facendo niente per fartelo dire, in modo da farti capire che sei tu ad andare bene, non necessariamente quello che fai. E che soprattutto non hai bisogno di fare proprio niente, per andare bene.
Ho pensato a quanto sarebbe bello se gli errori non ti facessero mettere così tanto in discussione la tua di identità, ma ti spronassero solo a imparare qualcosa, ma per te, non per non fare incazzare gli altri o per renderli orgogliosi di te. Perché tu, di te, quando cazzo sarai finalmente orgoglioso?
Ho pensato che se sei senza scrupoli nel giudicare gli errori degli altri, forse questo definisce più te come persona rispetto a chi ha fatto uno sbaglio.
Ho pensato che forse il vero male di questi tempi è la poca attenzione che diamo a ciò che siamo davvero, perché troppo distratti da ciò che gli altri pensano di noi o a come vorrebbero che fossimo.
Ho pensato che nessuno dovrebbe sentirsi condannato, per un errore o per una scelta non condivisa, perché alla fine nessuno deve permettersi di giudicare nessuno.
Ho pensato che è brutto sentirsi senza via di scampo o di fuga, per il solo fatto di essere qualcuno che per qualcun altro non è abbastanza o non va bene.
E ho anche pensato che io e lui ci assomigliamo.
Solo che io sono più brava a non farlo vedere.