Sono solo complimenti è un progetto di sensibilizzazione che ho creato ormai un annetto fa, su Instagram.

La storia del profilo è nota a molti, ma forse non a tutti: dopo una corsa al parco e dopo l’ennesimo episodio di catcalling mi sono sfogata tramite Instagram stories, ricevendo poi decine di storie di ragazze che raccontavano tutte la stessa dinamica. Da lì, mi è nata l’esigenza di non lasciar cadere tutto nel vuoto, ma creare uno spazio che potesse essere protetto e pensato per contenere tutte queste testimonianze, per poter sensibilizzare e per poter divulgare storie spesso dolorose ma necessarie.

I temi che vengono trattati sul profilo sono spesso fonte di dolore in me che le leggo, per questo ringrazio chi ha sempre partecipato attivamente al progetto, dandomi supporto e sostegno: Daniela, nella fase di setup, Tonia nel quotidiano aiutandomi a gestire tutte le storie, Tamara dando vita ad immagini che parlano più delle parole e Arianna, amica, psicologa e psicoterapeuta in formazione per dare forma a quello che spesso risulta incomprensibile ma che è necessario che venga compreso e metabolizzato, per poter andare avanti. Proveremo a farlo con queste domande che le ho posto.

– Ciao Arianna, io so bene chi sei, ma vorrei che ti presentassi a chi leggerà questa intervista.

Ciao Martina, mi chiamo Arianna Capulli e di professione faccio la psicologa. Sono specializzata in Psicologia dell’Emergenza e Psicotraumatologia e prossima alla specializzazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale e Intervento Psicosociale. 

Sono solo complimenti. Cos’è un complimento?

“Un atto, un’espressione di riverenza, di ossequio, spesso soltanto esteriore e per buona creanza, talvolta manieroso, affettato o addirittura insincero.” (Treccani.it/vocabolario)

Il complimento ha varie funzioni sociali, che sono strettamente legate al contesto situazionale, alla relazione tra gli interlocutori, all’obiettivo dell’interazione. 

L’educazione e la cultura ci forniscono gli strumenti per riconoscere la funzione di un complimento. Vale a dire: siamo capaci di – e abituati a – distinguere un complimento che ha la funzione d’essere un atto di riverenza da un complimento solo esteriore o addirittura manieroso, volto al raggiungimento di altri obiettivi, anche e soprattutto in virtù della relazione che intercorre tra chi fa il complimento e chi lo riceve. 

Vien da sé che un complimento fuori luogo, in una relazione non confidenziale o tra sconosciuti, può diventare offensivo e talvolta “molesto”. 

Quando davanti a una molestia viene ribadita l’innocenza del complimento è perché si tiene conto del contenuto del complimento, ma non della sua funzione sociale che, nel caso della molestia, è legata all’adescamento, all’esercizio di potere, al superamento di un confine relazionale culturalmente e/o personalmente posto

Il complimento è accettato e non percepito come una molestia quando il soggetto è coinvolto come parte attiva nell’interazione. 

Ricordiamo tuttavia che le molestie, molte delle quali sono raccontate sul profilo, non sono neanche complimenti.

Quindi chiedo io a te Martina, perché hai chiamato così questo profilo?

Mi ricordo molto bene la fase di creazione del profilo, sono stata ferma sulla scelta nel nome per molto tempo. Volevo qualcosa che fosse di impatto, ma pertinente, senza retorica, né pomposità. Lo dico perché facendolo di lavoro, il rischio di trattare il tutto come fosse l’ennesimo progetto di strategia digitale lo percepivo. Poi ho riletto tutti i messaggi e la parola che leggevo più spesso era proprio “complimenti”; ho riflettuto sul fatto che molte rogne su questo argomento nascono dal fatto che non ti devi lamentare, che sei esagerata, che sei tu che forse non capisci, perché appunto, sono solo complimenti. Mi son quindi detta: come faccio a far capire il disagio che sentono tutte queste ragazze che mi han scritto, che appartiene poi ad ognuna di noi? Beh, dicendo a gran voce che no, non sono solo complimenti.

Mesi fa abbiamo chiesto alla nostra community quali aspetti restassero più impressi leggendo le storie. Riassumendo:  senso di colpa, la gente indifferente intorno, senso di impotenza e vulnerabilità, cosa è normale – effettivamente un complimento – e cosa no. Proviamo a sviscerare i punti uno per uno?

Le emozioni della vittima sono ciò che fa la differenza nella percezione di una molestia. La paura principale, secondo una mia statistica personale, è la velocità e aggressività con la quale il complimento fuori luogo può trasformarsi in violenza agita, verbale o fisica.

Segue la paura di raccontare l’esperienza e contestualmente di denunciarla per paura di ritorsioni da parte del molestatore. La rabbia reattiva è un’emozione coerente con la percezione d’aver subito un danno, un torto. Il senso di colpa della vittima, nel caso dei traumi, è spesso riconducibile alla convinzione errata d’aver causato l’evento traumatico per cui, una ragazza col vestito in estate molestata verbalmente, potrebbe intimamente credere d’aver esagerato nell’indossare un vestito troppo corto. Sottolineo “intimamente” perché alcune emozioni sono spesso determinate da pensieri sottosoglia, prodotti e mantenuti anche dal contesto di riferimento e purtroppo la nostra società non è unita da questo punto di vista. Anzi, siamo una società perlopiù divisa dalle dicotomie.
Paura e senso di colpa possono essere transitorie o protrarsi sulla base di queste convinzioni che non vengono messe in discussione, facilitando la trasformazione dell’esperienza in trauma.

In questo caso, è utile parlarne, nonostante la vergogna. La normalizzazione del proprio vissuto attraverso il confronto è importante, il profilo è prezioso da questo punto di vista.

Cosa pensi delle testimonianze raccolte sul profilo? Ti stupiscono, ti impressionano?

Purtroppo non mi stupiscono. Noto però che alcune testimonianze potrebbero avere a che fare con la violenza più che con la molestia. 

È possibile analizzare questi fenomeni da un punto di vista obiettivo, se sì, quali sono le linee guida di analisi e valutazione? Per intenderci, esiste un vero e proprio protocollo d’azione che unisce tutti questi fenomeni?

Secondo un sondaggio svolto dal gruppo di ricerca flulDsex, le vittime di molestie sono soprattutto persone di sesso femminile eterosessuali (67%), seguite da persone omosessuali di sesso femminile (65%) e persone omosessuali di sesso maschile (20%).   

Una ricerca svolta negli Stati Uniti (Stop Street Harassment, 2018) mostra che nel corso della vita l’81% delle donne e il 43% degli uomini aveva subito molestie sessuali. In particolare, la percentuale di coloro che erano state/i toccate/i contro la loro volontà era, rispettivamente, del 51% e del 17%; 34% delle donne e 12% degli uomini erano stati seguiti, a piedi o in automobile, da qualcuno; il 13% delle prime e il 5% dei secondi aveva subìto ricatti sessuali. Quasi tutte le donne e la maggioranza degli uomini erano stati molestati da uomini.

Secondo il Codice Penale, art.660, si parla di molestia sessuale in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale, ovvero di atti di corteggiamento invasivo ed insistito; diversamente, un atto che si risolve in un contatto corporeo tale da coinvolgere la sfera fisica della vittima del reato e da mettere in pericolo la libera autodeterminazione della stessa nella sfera sessuale viene definito violenza sessuale. La molestia sessuale prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e normalmente si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con petulanti telefonate o con espressioni volgari, nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Possono inoltre essere considerate molestie quei comportamenti, siano essi espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di un essere umano e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, come accade ad esempio con affermazioni e comportamenti sessisti. 

Ritengo quindi si debba intanto partire da ciò che non prevede la percezione soggettiva. Ciò che è reato e ciò che non lo è. 

Cos’è che fa diventare un complimento un corteggiamento? La disponibilità della persona alla quale è rivolto di accoglierlo. Il consenso. 

Esistono degli strumenti validi per fermare questo fenomeno, non tanto dall’esterno, quanto più partendo da ogni singola persona che ne è stata vittima o che ha paura di esserlo?

Lo strumento principale per provare ad arginare il fenomeno è l’educazione alla sessualità, laddove si intenda per sessualità tutto ciò che ha a che fare con le dinamiche relazionali tra persone di sesso uguale e/o opposto, dal rituale del corteggiamento all’atto. Dal punto di vista della prevenzione, intervenire in età scolare è sicuramente una missione da compiere. Spesso si pensa che l’educazione alla sessualità riguardi solo la prevenzione del contagio di alcune malattie, la contraccezione e altri temi strettamente legati all’atto. In una società ancora e purtroppo sessista, chi si occupa di prevenzione, non può trascurare questo aspetto.

Non trascurerei, allo stesso modo, il ruolo che la cultura ricopre. La personalità di un adolescente (ambo i sessi) si permea non solo sull’apprendimento diretto, ma anche e soprattutto su quello mediato dalla famiglia, dalle relazioni che intrattiene e, oggi, dai modelli di riferimento. Intervenire sulle famiglie è la missione auspicata quanto complessa. Ed è per questo che la cultura alla quale i giovani, ma anche gli adulti possono accedere (non immaginiamo solo seminari in biblioteca o articoli di giornale, ma anche mezzi di comunicazione moderni come la tv o i social) è importante sia essa stessa modello positivo.

Uno studio condotto da Galdi e colleghi (2013) ha indagato come la programmazione televisiva che oggettivizza e degrada il corpo femminile può spronare gli uomini a impegnarsi in condotte sessualmente moleste. Studi come questo sottolineano la derivazione sociale e pedagogica del fenomeno. Altre evidenze però, sottolineano le componenti psicologiche che spingono a ricondurre alcuni atteggiamenti perlopiù maschili ad alcuni tratti di personalità che giocherebbero un ruolo fondamentale nel conferimento del valore al consenso della vittima. 

Nel dibattito si inseriscono uomini e/o addirittura donne che negano il fenomeno o la veridicità delle testimonianze. Sono meccanismi di difesa?

Se è vero che la negazione è un meccanismo di difesa, non possiamo affermare sia vero anche che tutte le persone che negano si stanno difendendo. Come dicevo prima, chi nega spesso è perché non ha vissuto la situazione quindi è come se gli mancasse un pezzo, vede il contenuto, ma non l’interazione. 

Illustrazione Tamara Garcevic

L’obiettivo di questo contenuto è quello di mettere in luce come sia necessaria una narrazione che parli delle complessità, senza azzerarle, senza dare per scontate alcune cose solo perché “sono sempre state così”. Perché anche ciò che ci è familiare, che ci sembra scontato, nasconde talvolta fenomeni molto complessi, di non immediata comprensione.

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